Questo è il mio primo ebook, brevissimo ma sostanziale, letto in uno
smartphone nei ritagli di tempo mentre si attendeva, qua e la, di fare
altro, in quegli scampoli di momenti che altrimenti evaporerebbero nel
vuoto. Potere delle tecnologie, quello di impadronirsi del nostro tempo
per restituircelo come più ci aggrada, filtrato dalla loro stessa
essenza. Si tratta di una delle “interviste impossibili” non presenti
nell’omonimo libricino edito dalla Adalphi nel 1997, ma che era già
apparsa a settembre del 2001 nel primo numero de “Il caffé illustrato”.
Si tratta chiaramente di una delle solite geniali iperboli a cui il
Manga ci ha abituato. Un intervista a Dio sarebbe più che impossibile,
sarebbe qualcosa di “squadernate” per qualsiasi essere pensante, ma non
per il Manga che si ripropone di ridurre la figura dell’onnipotente a
qualcosa di più legato al linguaggio e al pensiero umano, magari ad
un’immaginazione razionale ma distorta, ma pur sempre molto scatologica,
estremamente poco probabile, ma proprio per questa improbabilità,
assolutamente manganellesca e divertente. Non c’è un discorso teologico
e/o metafisico, quasi subito il registro è quello lessicale. Dalle prime
battute si è di fronte ad un dio che cerca di articolare il linguaggio,
ne scansiona le regole e la grammatica in modo scombussolato, magmatico
e caotico, senza giungere ad un risultato corretto. Solo con l’inizio
dell’intervista si rivela essere senziente e in grado di articolare
contenuti in modo coerente e grammaticalmente corretto. L’intervistatore
è radicale, non intende accontentarsi di “parole generiche” ma nello stesso tempo sostiene di limitarsi alle domande che sono state concordate, di trarre “le domande dal repertorio generale delle domande possibili”; dal canto suo dio sostiene di essere pronto all’intervista e di essere “pieno, gremito di risposte”
e spiegando che il più importante dei temi è quello dell’edificazione
(attenzione non creazione, ma edificazione), accusa l’intervistatore in
modo da esprimere un pensiero che sembra essere formulato dallo stesso
Manganelli in riferimento alla pratica stessa dell’intervistare: “Lei non capisce niente. Faccia domande.”.
Fin dall’inizio e come giustamente afferma Lietta Manganelli
nell’introduzione, la parola di dio poco si discosta da quella dello
stesso Manganelli che sembra sfruttare l’occasione, tra tragico e
comico, come gli è familiare e congeniale, per invelenire un po’ il
clima ed esprimere cose che altrimenti resterebbero inespresse:
“Ma pensa un po’: tu dici la parola d’ordine, e il sordo non la
capisce, e per un attimo v’è, sulla terra, una duplice incertezza.
Ciascuno dubita di aver frainteso o confuso: non sa se deve uccidere, se
sarà ucciso, Fa l’esame di coscienza, si affida alle mani della morte, e
poi, talora tutto si chiarisce… Delizioso, e sommamente pedagogico.” “Non vi amo, ma odiarvi è troppo faticoso. Io direi che mi fate schifo”.
Tra serio e faceto dio chiede di fare domande e pone come esempi domande
che in realtà sono più un interrogatorio, come se fosse un colpevole
che deve confessare, il dialogo diviene surreale: le domande sono
avulse, non quelle che si farebbero a dio: storia delle strade, sua
sociologia, riferimenti a magia e gatti neri, alla velocità della luce,
alle rovine… le risposte evasive: la velocità della luce “aumenterà, eccetto nelle curve”, le rovine “sono serie e relativamente economiche”. Si tratta comunque di risposte che non sono quelle che ci si aspetterebbe da dio.
“Da tempo nel nostro regno si discute se estendere le rovine fino a fare di ogni cosa una rovina” o “asfaltare l’intero pianeta, così da farlo pulito, lucido, come un teschio, una biglia, un occhio di pesce”. “Costruiremo grandi rovine nel mezzo delle pianure… con grandi autostrade per facilitare l’accesso ai meno abbienti”
Con lo svolgersi dell’intervista le due voci, quella dell’intervistatore
e quella dell’intervistato sembrano confondersi in un tutt’uno dove
sembra non si comprenda bene se è l’uomo ad essere ad immagine e
somiglianza di dio o il contrario. Una voce unica che, lontanissima da
qual si voglia discorso teologico e quindi tanto più lontana dall'essere
la voce di Dio, sembra essere l’eterna eco dell’incongruenza umana e
della sua storia: “Una felice collaborazione tra i sulfamidici e gli
affreschi del quarto stile darà a tutti la possibilità di mescolare sani
godimenti con una ragionevole sudicezza sanitaria. Il progresso è
questo.”
Ancora una volta in questo breve e geniale scritto, sfruttando l’idea di
una intervista veramente e vanamente impossibile, la voce del Manga,
tra cinismo e crudeltà, restituisce una visione, si iperbolica e
surreale nel linguaggio, ma a ben vedere abbastanza verosimile, sulla
realtà umana, sulle sue idiosicrasie e sulle sue ottuse nefandezze.
“Giovanotto lei ha troppe opinioni personali. Come giornalista, non deve avere né opinioni né timori né speranze… Lei registra.”