Il Teorema Indie

Questo è il titolo di un post apparso su BookCafè.net. Eccovi il contenuto che noi, in Kipple, condividiamo completamente. E' indicativo, questo pensiero, del nuovo corso della cultura e in particolare dell'editoria, in cui crediamo ciecamente.


Stamattina accennavo qui ad una comunità di pratiche, quella degli scrittori che saltano gli editori, che condivide dati e strategie per affrontare il mercato. C'è una certa retorica di fondo (quella delle «migliaia» di copie vendute al mese) che un po' ricorda il primo hype su Second Life, quando tutti la raccontavano come la terra promessa per arricchirsi. E in questo contesto Konrath -il primo caso di successo cui tutti si ispirano- è un po' l'Anse Chung della Second Life di allora.
Però, fatta la tara alle punte retoriche, molti dei bestseller su Amazon nelle categorie calde (suspense, thriller, mystery) sono opere indie. E costano in media 99 centesimi. «Gli editori tradizionali», scrive per esempio Kait Nolan, «non capiscono che la domanda preme verso prezzi più bassi. E la letteratura indie sta colmando il vuoto». Forse non è l'unica spiegazione possibile, ma è abbastanza convincente per rifletterci su. L'onda non va sottovalutata.
Il teorema indie, quello che sta andando per la maggiore in questo periodo, si fonda sulle caratteristiche dell'ebook (bene riproducibile a costo zero) e sostiene che se abbassi il prezzo guadagni di più, perchè il numero di copie vendute eccede di molto quelle vendute a prezzo più alto. E anche se ricavi la metà (Amazon taglia al 35% le royalty per prezzi sotto $2,99) su un prezzo molto più basso, alla fine i ricavi complessivi aumentano.
La scommessa è semplice: se devo prendere il 70% su una copia a un prezzo di 2,99 io vendo a 0,99, prendo il 35% e spero di venderne almeno sei volte più copie. E i dati, a determinate condizioni, sembrano dare ragione a chi fa questa scelta.
Ovviamente queste maths hanno molte variabili (il rapporto 1/6, applicato per esempio ai titoli 40k, può variare da 1/5 a 1/8 per una serie di questioni che qui sarebbe lungo spiegare). Ma poi contano tanti altri fattori (genere, appeal del libro, piattaforma dell'autore, eccetera). Quello che mi sembra di capire (ma voglio ancora studiarci sopra) è che -in una situazione ottimale- l'acquisto del libro a 0,99 (che è potenzialmente un acquisto di impulso facilitato dal Buy Now With 1 Click del Kindle) può produrre un numero di copie talmente elevato da compensare abbondantemente i fattori critici e i ricavi minimi sulla singola transazione.
Semplicemente la desiderabilità del libro, in quella fascia di prezzo, si allarga a una quantità di persone che non lo riterrebbero interessante ad un prezzo più alto.
Molti autori sono alla ricerca del «prezzo giusto» e si sta costruendo collettivamente una casistica assai interessante.
Io non sono totalmente convinto (ci sono fattori importanti in gioco, come la percezione di valore del libro, eccetera), soprattutto perchè il prezzo è solo una variabile tra tante, spesso ugualmente importante rispetto alla piattaforma dell'autore e ad altre considerazioni. Anche se, per dovere di frontiera, stiamo facendo anche noi qualche esperimento negli USA.
In ogni caso, anche se il teorema indie difficilmente può essere applicato ad un editore, quanto sta accadendo negli States dovrebbe essere osservato con maggiore attenzione. Perchè al di là dei 99 centesimi, c'è un fermento ed una sperimentazione continua che le grandi organizzazioni non hanno mai avuto. E sul versante della letteratura indie bisogna, sospetto, avere l'umiltà di riconoscere che può esserci molto da imparare.

RISULTATI del PREMIO SHORT KIPPLE 2011

Comunichiamo che il Premio Short Kipple 2011 per i racconti brevi fantastici
ha visto come VINCITORI primi classificati ex aequo:

1° ex aequo "Le balene di Maath" di Giuseppe Agnoletti
1° ex aequo "Zombie Carpocalypse" di Domenico Mastrapasqua

I racconti vincitori saranno pubblicati nella collana cartacea "Capsule",
nella collana eBook "eCapsule", sulla rivista NeXT e nell'antologia in versione eBook insieme ai finalisti.

SEGNALATI per la rivista NeXT:

* "Alba 211" di Grazia Gironella
* "La casa sfuggita al tempo" di Dario Moroni
* "Le balene di Maath di Giuseppe Agnoletti
* "Zombie Carpocalypse" di Domenico Mastrapasqua

I racconti segnalati saranno pubblicati nei prossimi numeri della rivista cartacea "NeXT".

 FINALISTI:

* "Alba 211" di Grazia Gironella
* "Alcantara" di Maurizio Del Santo
* "Fiamme nere" di Giuseppe Agnoletti
* "Il grano di Dio" di Filippo Radogna
* "Il maestro delle corde" di Giuseppe Agnoletti
* "Il paese dei balocchi" di Daniele Picciuti
* "In profondità" di Riccardo Gazzaniga
* "La casa sfuggita al tempo" di Dario Moroni
* "Le balene di Maath di Giuseppe Agnoletti
* "L'incontro" di Marco Parlato
* "L'ultimo viaggio" di Grazia Gironella
* "Zombie Carpocalypse" di Domenico Mastrapasqua

I racconti finalisti saranno pubblicati nell'antologia di racconti del Premio in versione eBook.

MUSICA, SPETTACOLO E BODY-ART. L’aspetto postumano nella musica e nella performance. Parte IV: 1980-2000

Continuiamo la rassegna della musica e dell’arte “postumana”. Tra immagini mistico-occultistiche e scenari apocalittici sono da segnalare i Current 93 (dal 1983) e l’eclettico Nurse With Wound (dal 1980), che passa in rassegna un po’ tutti i sottogeneri electronoise.
Tra i vari gruppi del periodo, quelli che ci sembrano più ispirati al concetto di postumanesimo sono i Coil, con un rumorismo moderato e ciclico con tendenze morbose, che ha sfornato anche album di astrattismo spirituale (prima che esoterico) come The Angelic Conversation (1985) o Scatology (1986).
Grande frequentatore di musiche nuove e sperimentali è sicuramente Brian Eno, che sviluppa la musica ambientale e new age con derive elettroniche, rock e liriche anche di ampio respiro. Ha collaborato con molti musicisti d’avanguardia, tra cui i Cluster (gruppo elettronico che esce dalla scena del kraut-rock tedesco), David Byrne, e negli ultimi tempi Laurie Anderson, poliedrica personalità che entra di diritto a far parte degli artisti postumani. Laurie Anderson è sia performer che musicista e mostra ben presto la sua indole transartistica collaborando con William Burroughs, organizzando eventi e mostre a New York e diventando celebre nel mondo della musica con il singolo O Superman.
Tornando al rock, è il ciclone del punk che rinnova il genere indirizzandolo verso derive a volte sterili, altre creative, altre ancora postumane. Citiamo The Cure e i Bauhaus, dediti a un crepuscolarismo sonoro, gotico, a volte lirico, altre disperato. Sulla stessa linea i Death in June, The Sisters of Mercy e i Joy Division, mentre discorso a parte meriterebbero i Dead Can Dance, che affondano le proprie radice in un folk cupo e lirico. Altro genere affine è la new wave (non a caso il nome è mutuato al filone fantascientifico nato dalla rivista inglese New Worlds), primi tra tutti i Depeche Mode, i Soft Cell e gli Ultravox.
Senza allontanarci troppo dalla vera essenza del postumanesimo, degni di menzione speciale troviamo i Clock Dva (cioè “Orologio Due”, si mette subito l’accento sul tempo) con un’originale elettroacustica jazz; passeranno ben presto a una pura elettronica ipnotica e onirica. Album come Transitional Voices (1990), Buried Dreams (1991) o il più esplicito (per il postumanesimo) Man-Amplified (1991) sono pietre miliari del postumanesimo elettronico contemporaneo.
Continuiamo a lanciare idee di possibili percorsi sonori postumani cercando di suddividere i protagonisti per provenienza.
Dagli Stati Uniti arrivano i Ministry, che cominceranno a produrre violenza sonora con martellante ritmo elettronico e overdrive di chitarre, evolvendo, nel giro di soli tre anni e quattro album in un technometal granitico (il meglio in The Land of Rape and Honey dell’1988 e The Mind Is a Terrible Thing to Taste del 1989). Il loro sound è ripreso dai Nine Inch Nails di Trent Reznor (dal 1989), più elettronici ma non meno violenti.
La ricerca in senso ambientale trova in prima linea Mike Harris, attivo su più fronti ma soprattutto con gli Scorn (dal 1993), che presentano un sound minimale e apocalittico. L’incontro tra Mike Harris e Bill Laswell è fondamentale per il proseguimento della ricerca in questo senso, attraversando tutte le possibilità dell'ambient-dub, fino a giungere a un isolazionismo new wave di cui fanno parte i Tortoise (1995).
La Germania ci regala gli Einstuerzende Neubauten, che si distinguono per uno stile personale, caratterizzato da pezzi ritmati suonati con materiali di scarto industriali, come vecchi elettrodomestici, seghe circolari, trapani, ferraglia, plastica, catene, ecc., orchestrati dalla voce dark-new wave del cantante Blixia. La band arriva a creare melodie assolutamente piacevoli, degne di un compositore contemporaneo. Ascoltate prima Strategies Against Architecture II (del 1991, più strutturato del primo omonimo) e, subito dopo, Tabula Rasa (1993) e noterete l’artista che prima “cerca” e poi “trova”.
Citiamo poi i belgi Front 242 (dal 1985), che con la loro musica fisica e ritmica, daranno il via a tutta una generazione (e a un genere chiamato body-music per la sua indole a far muovere il corpo): Klinik (dal 1987) e Insekt (i risultati migliori in Dreamscape del 1992).
Dai Paesi dell’Est provengono gli sloveni Laibach che dal 1982, su un progetto programmatico provocatorio e controculturale, suonano ritmi marziali e marcette militari dal sound decisamente innovativo. Sono da considerarsi senz’altro postumani se consideriamo il lavoro concettuale che sta alla base della loro musica: hanno fondato la Neue Sloveniske Kunst, una vera e propria micronazione con tanto di passaporto. Un vero e proprio “postumanesimo politico”.
Dall’Inghilterra i Nitzer Ebb, i Chakk, e i trasognanti Komputer.
Dalla Francia i Die Form (che potremmo divertirci a chiamare i fautori del sesso postumano, ascoltare per credere).
Dal Canada arrivano per primi gli Skinny Puppy (nati già nel 1983, senza riuscire però a trarre meriti dalle loro intuizioni) e gli attivissimi Front Line Assembly (ascoltate Tactical Neural Implant del 1992 o Hard Wire del 1995).
Infine, abbiamo già menzionato Stelarc, che aveva cominciato con le Sospensioni, per passare a nuove performance ispirate alla cerimonia O-Kee-Pa degli indiani d’America. Con ganci inseriti nella carne collegati a corde, si faceva issare nel vuoto con una gru, anche per venti minuti. Ma è negli anni ‘80 Stelarc raggiunge la sua indole più marcatamente postumana. In collaborazione con un’èquipe di ricercatori universitari specializzati in robotica, realizza Third Hand: si fa innestare sul braccio destro una terza mano artificiale, comandata dai muscoli addominali e dalle gambe. Successivamente lavora a Third Hear (Terzo orecchio). Una teorizzazione estrema: il corpo umano mostra i limiti del proprio sistema evolutivo.

MUSICA, SPETTACOLO E BODY-ART. L’aspetto postumano nella musica e nella performance. Parte III: 1960-1980 Musica

Alla fine degli anni ‘60 la musica popolare si apre alla sperimentazione (in contemporanea alla “rivoluzione parallela” che avviene nel mondo dell’arte, con la nascita della body-art). Da un lato i progressi della tecnologia, dall’altro la diffusione delle droghe, aprivano ampi e inesplorati scenari ai musicisti e alle band musicali.
Tra i primi sono i Pink Floyd in A Saucerful of Secret (1968) e Ummagumma (1969) a dilatarsi in allucinate saghe interplanetarie e a fecondare i semi dello space-rock, un genere di notevole fortuna soprattutto nella scena alternativa inglese nei primi anni ‘70.
Dopo i Pink Floyd citiamo senza dubbio i Kraftwerk (allievi di Stockhausen), gruppo electropop formatosi nel 1970, direi addirittura paladini di un certo postumanesimo ecologico, assolutamente non estremo, ma determinato.
Per quanto riguarda strettamente la musica, gli anni ‘70 sono caratterizzati dallo space-rock (Tangerine Dream, Ash Ra Temple, Popol Vuh, i più tribali Amon Duul I, il più lirico Klaus Schulze e i Faust, che nel nome richiamano anche l’idea Goethiana di superomismo). Importanti i Cabaret Voltaire, sperimentatori, ironici, anch’essi aperti all’idea di una tecnologia filoumana e The Residents, sostenitori di una “teoria dell’oscurità”, che possono essere considerati i progenitori del plagiarismo, la pratica, cioè, di citare, campionare o copiare di sana pianta pezzi pop o rock.
E anche il rock mostra il suo aspetto più postumano: quale musicista infatti ispira più “alienità” del David Bowie degli anni ’70? Bowie crea un vero e proprio personaggio postumano, confermando questa sua attitudine nei dischi (The Man Who Sold the World del 1970 e The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders From Mars del 1972) e nei film che interpreta (L’uomo che cadde sulla Terra, 1976).
Senz’altro postumano è l’album Metal Machine Music di Lou Reed. E postumani sono soprattutto i Throbbing Gristle di Genesis P-Orridge (ex mail e body-artist). I loro intenti erano quelli di scioccare con la violenza dell’impatto visuale, concettuale e musicale attraverso rumori, estetiche nazi-militaresche, pornografia, ecc.). P-Orridge utilizza il termine “industriale”, riconosce come guru William Burroughs, James G. Ballard e filosofi post-moderni come Michel Focault, Jean Baudrillard, Gilles Deleuze e Felix Guattari.
Dalla fine degli anni ’70 e soprattutto negli ‘80 si moltiplicano i gruppi di non-musicisti o ex-musicisti che si cimentano in nuove sperimentazioni. Menzioniamo, in una sorta di brain storming del periodo, il duo newyorkese Suicide, che già nel 1977 avevano tradotto il rock tradizionale in un linguaggio minimal-elettronico, Z’ev (forsennato percuotitore di bidoni, primo di numerosi emuli), i Test Department (politicamente schierati e primi sperimentatori di una certa industrial-dance), Foetus (autori di forti miscele sonore che coniugano rock, elettronica e rumore industriale), The Hafler Trio (musicologi dell’elettronica noise, autori di ricerche sonore pseudocolte), Non (il californiano Boyd Rice, autore di inquietanti dischi di puro rumore che si potevano indifferentemente suonare a 16, 33, 45 o 78 giri), gli Whitehouse (ultranoise in cui pure frequenze sono impastate dalla voce delirante del britannico William Bennett) e The Haters (autore di rumore non-sense, con il pregio dell’ironia, che lo porta a concepire un disco senza solchi e palline di vinile).

MUSICA, SPETTACOLO E BODY-ART. L’aspetto postumano nella musica e nella performance. Parte II: 1960-1990 Body-Art

Verso la fine degli anni ‘60, viene usato per la prima volta il termine body-art per segnalare gli interventi newyorkesi di Vito Acconci e Jan Wilson. Il corpo come “materia espressiva” era stato utilizzato, ma Acconci raggiunge un certo livello di estremismo, qualcosa che potremmo per la prima volta definire come “postumano”. Già qualche anno prima (1965-9) un gruppo di austriaci, gli Azionisti Viennesi, adoperando pittura, oggetti, escrementi e materiali umani, si riappropriano del loro corpo, liberando tutti gli istinti repressi ed esibendo le loro nevrosi. Gli interventi sono diversi fra loro, a carattere politico (Otto Mühl, eventi con mescolanze di corpi, oggetti e materiali), rituale (Herman Nitsch, riti con animali sgozzati e squartati e persone nude ricoperte di sangue e viscere), sessuale (Rudolf Schwarzkogler, che arriverà fino alla castrazione e morirà suicida nel 1968 durante una sua performance). Anche il Californiano Chris Burden mette a dura prova la sua resistenza fisica e psicologica. Nel 1971 si chiude forzatamente per cinque giorni in un armadietto di ferro chiuso a chiave, bevendo soltanto acqua. Nello stesso anno, in Shooting Piece, Burden si fa sparare un colpo di pistola su un braccio da una certa distanza, restando lievemente ferito. Nel 1972 (Deadman) si chiude in un sacco di tela, collocandosi in mezzo a una strada trafficata. La francese Gina Pane comincia a lavorare col proprio corpo nel 1968, ma è del 1971 la sua prima azione in cui si ferisce (Escalade). Infine Stelarc, artista cipriota che comincia cimentandosi nelle Sospensioni, una serie di azioni in cui il suo corpo veniva sollevato e lasciato fluttuare all’interno di spazi e gallerie, e che giungerà, vent’anni dopo, a un’altissima integrazione uomo-macchina, come vedremo più avanti.
La ferita, l’incidente violento e una certa componente sessuale caratterizzano tutte queste azioni artistiche, e compaiono anche in libri come La mostra delle Atrocità (1970) e Crash (1973) di James G. Ballard. Il postumanesimo è definitivamente tra di noi, un concetto sempre più assimilato alla nostra “semplice” vita quotidiana.
Per riavvicinarci al nostro principale campo d’indagine, l’elemento sonoro, dagli anni ‘80 è sulla scena il gruppo teatrale di contaminazione La Fura dels Baus, che comincia le sue rappresentazioni nel 1984 con Accions in cui utilizza macchine meccanico-cibernetiche trattate come componenti del corpo umano ibridato. In Suz/o/Suz (1985) le macchine cominciano a essere autonome, macchine ibride con tecnologie riciclate, motori di lavatrice, ruote dentate, bracci meccanici. Ma lo spettacolo si completa soltanto con la presenza dello spettatore, il quale ne fa parte integrante: non vi è alcuna separazione (palco, scenografia) che separa macchine, attori e spettatori, ma il pubblico si muove dentro la musica e le immagini.
Terminiamo questa rapida rassegna di performer “postumani” con l’artista francese Orlan, che comincia nel 1990 le performance chirurgiche che andranno man mano trasformando il suo volto secondo un preciso progetto: ogni singolo pezzo è stato progettato al computer e trasferito sul volto di Orlan. L’artista insiste sulla decostruzione di un’identità unica agendo sulla propria carne, plasmandola e modificandola. Ogni suo intervento chirurgico viene documentato con filmati e video, esso si apre con la sua lettura di alcuni testi (Serres, Artaud, ecc.), a volte durante l’operazione, mentre il bisturi penetra, taglia, e modifica la struttura del suo volto.


Mondo Bizzarro, Connettivismo & Kipple



 


 


Il 21 gennaio 2011, presso la galleria Mondo Bizzarro di Roma (Via Reggio Emilia 32), il Movimento connettivista (www.next-station.org) presenta l’ultimo numero del bollettino trimestrale NeXT, giunto al numero 15. All’interno della rivista sono presenti le immagini, già esposte nella galleria durante la mostra Ultraerotica, dei maestri John Santerinoss, Atsushi Tani e Ken Ichi Murata.

 

Durante l’evento verranno presentate anche le pubblicazioni della Kipple Officina Libraria (www.kipple.it) in cui trovano spazio alcune opere di natura connettivista.

Parteciperanno alla serata il vincitore del Premio Urania 2008, Francesco Verso e Sandro Battisti, cofondatore del Connettivismo e direttore editoriale di NeXT, entrambi editor della collana Avatar per la Kipple Officina Libraria.



Ci vediamo lì?



Una discussione su Lazarus, Premio Urania.

Un romanzo breve, a dire la verità, quello di Alberto Cola, il terzo di fantascienza che io abbia letto di questo autore, dopo Goliath (pubblicato da Solid, che oggi si chiama Delos Books) e Ultima pelle (Kipple Officina Libraria).
Ci sarebbe amche Kami (un fantasy per ragazzi, così leggo da Wikipedia) e poi un numero notevole di racconti vincitori di premi letterari (praticamente tutti i premi che riguardano il fantastico) e/o pubblicati un po' dappertutto.
In effetti, fino al 2010, Cola è conosciuto più per i racconti. Ma in quest'anno infila due premi per romanzi: il Premio Kipple e il Premio Urania. Naturale quindi che si possa fare un discorso solo per i romanzi.

Lazarus è un romanzo scritto molto bene, con lo stile equilibrato, con la giusta velocità e le dosi misurate di azione e dissertazione storica e ambientale, con episodi al momento giusto, eccetera. Insomma, un perfetto impianto e un libro di grande struttura, si direbbe se fosse un vino. Rispetto ai due precedenti denota una maturazione del Cola scrittore. Non ci sono più le sbavature del suo stile, uno stile forte, evocativo, accattivante che a volte rasentava l’eccesso (per esempio il linguaggio dei dialoghi, gergale e ironico, a volte diventava convenzionale, così come l’eccesso di metafore, o l’eccesso di azione), ora tutto è superato. Alberto si avvia a diventare uno scrittore a tutto tondo, e credo proprio sia intenzionato a scrivere qualcosa di non fantastico, come s’indovina dalle paginette finali autobiografiche.
Quello che mi auguro, oltre che ciò avvenga molto più avanti, è che Alberto non dimentichi la forza evocativa e immaginifica di tutta la produzione precedente (quello che viene chiamato il sense of wonder). Chi non ha letto nulla di Cola, può farsi un’idea leggendo i suoi due racconti in appendice al libro (soprattutto La porta di nuvole, eccellente!). Perché si diventa “veri adulti” solo se ci si responsabilizza senza dimenticare le intemperanze giovanili. Quindi, niente più slanci lirici, naturalmente, ma sotto traccia, tra le righe, in sottofondo (scegliete l’espressione che vi rende meglio l’idea), dovrebbe essere presente l’indimenticabile atmosfera delle storie di Cola, che, a dirla tutta, in questo Lazarus, latita un po’. Probabilmente è stato il rispetto per Yuko Mishima, coprotagonista del romanzo, e per il suo rigore etico che ha travalicato davvero gli anni e si è instillato nel libro di Cola.
Infine, il Giappone, amore dichiarato dell’autore, sempre descritto con dedizione e documentazione, anche qui (nella fattispecie Tokyo) è presentato in modo credibile e sentito.
Se poi l’autore descriva cose viste dal vivo o no non sono adatto a giudicarlo, visto che lo conosco bene e non credo che sia stato in tutti i luoghi che descrive (soprattutto in altri libri e romanzi, in pratica non c’è continente che non sia stato toccato). Direi che, in questo senso, Cola ha una vena salgariana, cioè come Salgari descrive posti lontani senza muoversi dalla scrivania con un’evocazione capace di persuadere almeno il lettore medio.
Infine, una considerazione in generale sulla science-fiction contemporanea, scaturita dal secondo dei racconti presenti (Reintegrazione Fisica Computerizzata): un racconto che spiega uno dei tanti metodi ipotizzati dagli scrittori di “rigenerazione” (rievocazione, resuscitazione, ricostituzione, chiamatela come volete) di persone non più in vita. Ecco, un racconto del genere, che diversi autori hanno scritto, suscitava certamente un certo sense of wonder una ventina di anni fa. Oggi, molto meno. Infatti, oggi, gli autori che affrontano l’argomento si soffermano molto meno sull’operazione in se stessa, dando più peso alla trama vera e propria. In questo caso il racconto si salva alla grande grazie alla rigenerazione di personaggi storici particolari e al divertente finale, ma il mio discorso vuole mettere in luce quanto sia relativo il concetto di sense of wonder e quanto siano importanti, nelle storie, gli aspetti dell’intreccio, quelli psicologici e quelli sociali. Senza di quelli non si va da nessuna parte.
Insomma Alberto Cola c’è. Mi aspetto una prossima grande prova.

Domenica 23 gennaio 2011

in collaborazione con Le Città Sottili
presso CSA Baraonda - Via Pacinotti 13 - Segrate (MI)
Ore 21.00
ingresso 3 euro
The Meeting Point 18
performance interdisciplinare e multimediale di improvvisazione per musica,
danza, arte visiva e dintorni...al confine tra Arte e Scienza
Performers: Dante Tanzi (musica), Domenico Stranieri (musica), ODRZ (musica), Marcella Fanzaga (danza), Isabella Filippini (danza)
ODRZ
www.odrz.org

MUSICA, SPETTACOLO E BODY-ART. L’aspetto postumano nella musica e nella performance. Parte I: 1900-1960

[Tratto da NeXT]

La componente sonora nell’ambito del postumanesimo è essenziale, come del resto in ogni disciplina o manifestazione culturale in cui sia presente il tempo.
È chiaro infatti che la musica (o, la sonorità in generale, da questo momento per musica intenderò la sua accezione più ampia) è strettamente legata al tempo e al periodo.
Nel postumanesimo queste due componenti sono evidentemente importanti in quanto si parla di superamento dei limiti umani (fisici, culturali e mentali), e quindi di trasformazione nel tempo.
Nel postumanesimo però non si parla di semplice evoluzione umana, il progresso culturale, sociale e politico che piaceva tanto al Romanticismo, le tappe da raggiungere e superare, quel processo, per intenderci, che vedeva il passaggio dalla barbarie della preistoria, alla tirannia dell’antichità, alle repubbliche e infine alla democrazia moderna, nonplusultra dell’intellighenzia umana.
Come si è visto nel XX secolo, questa visione era figlia del proprio tempo, messa in crisi degli ideali nati nella stessa epoca, come il socialismo o l’anarchismo. Senza considerare che probabilmente nella preistoria vigevano civiltà tribali assolutamente adatte all’ambiente e quindi probabilmente migliori (per l’epoca) di qualsiasi democrazia. E questo discorso si può estendere a quelle società contemporanee collocate in contesti diversi (il “medievalismo afghano”, il “tribalismo amazzonico o papuasiatico”, ecc.) che molto probabilmente non hanno bisogno di azzardate importazioni di democrazia.
Il postumanesimo è qualcosa di più di una semplice fiducia evoluzionistica romantica o di un banale ottimismo scientifico (tipico del positivismo), semmai si avvicina alle estreme conseguenze di questi movimenti, ovvero a un certo decadentismo o un neopositivismo visionario che arriva a negarsi, e a certe intuizioni futuriste. Nel postumanesimo l’attenzione è rivolta alla trasformazione (quindi non solo miglioramento, ma anche deterioramento, distruzione), a prescindere che questa voglia portare a un’evoluzione o a un’involuzione.
L’oltranzismo postumano non è soltanto evoluzione positiva, non ha valenze etiche o sociali, è la sperimentazione di qualcosa che rinnovi il concetto stesso di uomo, che estenda il pensiero oltre il cervello e il corpo stesso oltre quello naturale (basti pensare al teriomorfismo, l’ibridismo uomo/animale, che, secondo il pensiero neopositivista, rappresenterebbe un arretramento).
Il postumanesimo è spinto dalla necessità di mostrare l’obsolescenza del corpo e dei supporti del pensiero, l’ibridazione che, oltre che culturale e religiosa, invade il corpo stesso, la nostra carne per mezzo delle biotecnologie, dell’andro-macchinismo.
Senza addentrarci troppo nella definizione esatta, ci sembrava però giusto tracciarne un’idea da cercare prontamente in quelle musiche (e in quei “musicisti”) che si possano anche definire “postumane”.
Si potrebbe cominciare da Luigi Russolo, ingegnere futurista che teorizzò (negli anni ‘10 del XX secolo) l’Arte dei rumori, e costruì gli Intonarumori, strumenti acustici che producevano e amplificavano rumori di vario tipo. Egli divise i suoni dell’orchestra futurista in sei famiglie di rumori: 1) rombi, tuoni, boati e scoppi, 2) fischi, sibili e sbuffi, 3) bisbigli, borbottii, brusii e gorgoglii, 4) stridori, scricchiolii, fruscii e ronzii, 5) percussioni di ogni tipo, 6) voci di animali e uomini, arrivando a ipotizzare circa 30.000 rumori diversi.
Questo è importante perchè si comincia a considerare lo strumento musicale non solo come artefatto umano ma anche come automa sonoro (certo, gli intonarumori erano ancora azionati a mano, ma bastava girare una manovella). Il limite del futurismo era quello di contrapporre eccessivamente il “silenzio degli antichi” con il “rumore dei moderni”, e invece sappiamo tutti bene (e se ne rendevano conto anche loro) che la natura è, a volte, molto più rumorosa di qualsiasi macchinario umano (terremoti, uragani, tempeste, valanghe, cascate, eruzioni, ecc.)
In quegli stessi anni Edgar Varèse auspicava l’invenzione di nuovi strumenti che avrebbero permesso di “percepire i movimenti delle masse e dei piani sonori che, entrando in collisione, avrebbero dato la sensazione di fenomeni di penetrazione o repulsione. Non vi sarebbe più stato posto per la vecchia concezione di melodia: l’intera opera sarebbe divenuta una totalità melodica scorrente come un fiume. Vari accorgimenti tecnici avrebbero delimitato molteplici zone d’intensità diversificate dal timbro e dall’intensità che avrebbero acquistato colore, dimensione e prospettiva differente. Il ruolo del timbro-colore sarebbe diventato accidentale, aneddotico, sensuale o pittorico.”
Dice ancora Varèse (siamo nel 1916): “Sono certo che verrà il giorno in cui il compositore, una volta realizzata la partitura, potrà affidarla a una macchina che ne trasmetterà fedelmente il contenuto musicale all’ascoltatore”.
Concetto assolutamente postumano.
Le sperimentazioni si susseguirono nei decenni successivi, e vari compositori costruirono diversi strumenti elettronici, come il Theremin, l’organo Hammond, il Magnetofono, il Trautonium, il Melodium e l’Ondioline.
Nel 1951 la RTF impianta a Colonia il suo primo studio espressamente concepito per la composizione elettronica. In esso si formerà e ne prenderà poi la direzione Karlheinz Stockhausen, uno dei maggiori protagonisti della musica contemporanea. Durante questi anni saranno molti i compositori attratti che realizzano dei lavori nello studio, tra essi Varèse, Hodeir, Boulez e Milhaud.
Nel 1952 debutta nella musica per nastro John Cage, la cui propensione per strategie compositive aleatorie si pone in principio in diretta contrapposizione col rigore strutturalista di Stockhausen (Luigi Nono attacca la tendenza di molti compositori a trincerarsi dietro rigorosi e astratti principi matematico-scientifici). Il gruppo Music for Magnetic Tape di Cage e quello di Tape-Music di Ussachevsky-Lüning (che lavorava a New York) iniziarono indipendentemente a manipolare i suoni lavorando sui nastri.
Nel 1956 Louis e Bebe Barron firmano Electronic Tonalities, la prima soundtrack interamente elettronica, per il classico di fantascienza Il pianeta proibito, ideando le organiche forme sonore della civiltà dei Krell.

Teletrasporto e macchina del tempo: l'Università della California verso la svolta

[Letto su NextMe.it]


Lo rappresentava Gene Roddenberry in ‘Star Trek’, lo scriveva Michael Crichton in ‘Timeline-Ai confini del tempo’: uomini spediti come fax nello spazio e nel tempo. Fantascienza? All’epoca sì, ma oggi tutto questo sembra assumere le sembianze della realtà. Ad annunciarlo i fisici dell’University of California di Santa Barbara (Usa), i quali hanno scoperto che un oggetto davanti a noi può esistere contemporaneamente in un universo parallelo, cosa che un giorno potrebbe rendere possibili il teletrasporto e la macchina del tempo.

Era già noto che a livello quantistico, ovvero nelle dimensioni delle particelle subatomiche, non valgono le leggi della fisica del mondo visibile, per cui, tra l’altro, mentre noi siamo abituati che gli oggetti del nostro mondo si presentano sotto un’unica forma, come tutti la percepiamo, quelli quantistici (ad esempio gli elettroni) possono manifestarsi diversamente in modo contemporaneo.

Perché poi quello che vediamo invece in un unico stato è dovuto, secondo l’interpretazione accettata in modo maggiormente condiviso, a quello che i fisici chiamano il ‘collasso quantistico’: quando osserviamo qualcosa, cioè, è come se scegliessimo uno stato nel quale far precipitare la realtà.

Ma questa non è l’unica spiegazione che è stata data all’apparente contraddizione tra il mondo visibile e quello quantistico: un’altra infatti, pubblicata nel 1957 da Hugh Everett, è quella che è passata alla storia con il nome di ‘Teoria degli universi paralleli’, secondo la quale la realtà che vediamo è solo un universo possibile, in coesistenza con altri, che potrebbero trovarsi persino in condizioni temporali diverse dalla nostra.

Nessuno però aveva mai prodotto esperimenti sull’argomento e la teoria, anche per questo, è stata osteggiata fino a scomparire del tutto, talvolta, dai testi di meccanica quantistica. Da qui la grandezza della scoperta degli scienziati di Santa Barbara: la progettazione di una macchina, una sottilissima paletta metallica appena visibile ad occhio nudo, costretta a muoversi secondo le leggi della fisica quantistica.

Per realizzare l’ingegnoso apparecchio, i fisici hanno raffreddato la paletta metallica fino a farle raggiungere l’energia minima permessa dalla quantomeccanica e poi le hanno somministrato di nuovo energia, ma utilizzando i pacchetti tipici delle dimensioni subatomiche, dove i sistemi non possono avere tutte le energie possibili, ma solo alcune dette appunto ‘quanti’ (è come dire che un’automobile non può andare ad ogni velocità possibile entro il massimo, ma solo, ad esempio, a 70, 80 e 90 Km/h).

In tal modo hanno generato uno strumento classico che però si comporta come uno quantistico, pertanto questo vibra poco e tanto contemporaneamente. Questo bizzarro comportamento dimostra l’esistenza di due universi, quello in cui la paletta vibra poco e quello in cui vibra tanto. “Quando si osserva qualcosa in uno stato, la teoria è che la realtà si è divisa in due universi”, afferma Andrew Cleland, che insieme a John Martinis ha portato avanti la ricerca.

Questa che sembrerebbe una completa follia potrebbe realmente portare un giorno alla realizzazione del teletrasporto e della macchina del tempo. Senza pensare necessariamente a scenari come quelli di ‘Alice nel Paese delle Meraviglie’, sarà forse possibile però viaggiare istantaneamente nello spazio e, chissà, forse anche nel tempo. La prestigiosa rivista scientifica Science, nel frattempo, ha riconosciuto questa prima macchina quantica come la ‘Svolta dell’anno 2010’.

Arriva la letteratura elettronica

Da Corriere.it


Versi e frasi da leggere tra le immagini di un video, parole in movimento sullo schermo al ritmo di una colonna sonora, romanzi collettivi scritti su blog e social network. Mentre gli autori «tradizionali» hanno avviato da pochi mesi in Italia una riflessione sugli ebook e sulla nuova prospettiva di una scrittura digitale, c'è già chi si è spinto oltre. Aprendo ulteriori scenari su quali potrebbero essere, in futuro, gli sviluppi del binomio cultura-tecnologia. Si tratta degli esponenti della cosiddetta eLiterature (Letteratura elettronica), una forma espressiva per cui i supporti informatici - dal computer a Internet, ai singoli software - non rappresentano solo un mezzo di lettura dell'opera ma lo strumento stesso della sua creazione.

TESTI INTERATTIVI - Nessun contenuto ha origine sulla carta e viene trasferito in digitale, come sta invece accadendo, nella maggior parte dei casi, in questa prima fase di vita dell'ebook. I testi della eLiterature nascono già elettronici, quasi sempre interattivi, arricchiti da audio e video oppure animati da algoritmi che spostano singole lettere o interi capitoli sotto gli occhi di chi li guarda. Così la letteratura si spinge ai confini con l'arte e la fruizione sembra di volta in volta irripetibile. Grazie a un apposito programma, ad esempio, la mescolanza di suoni, immagini e testo varia a ogni riproduzione in The set of the U del francese Philippe Bootz, uno dei padri del sottogenere della poesia elettronica. Oltre cinquecento combinazioni, invece, in Bromeliads, opera in prosa dell'americano Loss Pequeño Glazier, ritenuto con Bootz e lo statunitense Michael Joyce (scrittore di ipertesti) tra i principali autori di eLiterature. Fatta risalire dagli studiosi al 1959, quando il linguista tedesco Max Bense creò i primi versi usando un calcolatore, la letteratura elettronica fu coltivata intorno agli anni Ottanta e Novanta come sperimentazione di nicchia in Francia e nel mondo anglo-americano.

IL CONVEGNO A NAPOLI - Agli albori del nuovo millennio, invece, con la diffusione di Internet, la produzione divenne più ampia, accompagnata dalla riflessione teorica sullo statuto della nuova letteratura. Nel 2005 la prima definizione, seppure ancora generica, riconosciuta a livello internazionale, secondo cui la eLiterature include «lavori con importanti aspetti letterari che sfruttano le capacità e i contesti forniti dal singolo computer o da una rete di computer». Negli ultimi tempi l'interesse si è acceso anche in Italia. Ricerche sono in corso all'Università di Macerata con il dottorando Fabio De Vivo, che al tema ha dedicato un forum, un blog e una pagina su Facebook e che presto pubblicherà lo studio eLiterature. Analisi critica, strumenti interpretativi, potenzialità e possibilità applicative. Il 20 e 21 gennaio, inoltre, al Palazzo delle Arti di Napoli si terrà il convegno «Officina di Letteratura elettronica», il primo incontro internazionale sulla eLiterature che si svolge in Italia. A organizzarlo l'artista Lello Masucci e Giovanna di Rosario, docente di Letteratura elettronica all'Università di Jyväskylä (Finlandia) e membro del gruppo di ricerca Hermeneia a Barcellona.

CULTURA-TECNOLOGIA - «La tradizione letteraria "alta" e la minore accessibilità di Internet rispetto ad altri Paesi hanno fatto sì che in Italia la eLiterature sia stata finora ignorata - spiega la studiosa -. Adesso invece, per effetto della nascente editoria digitale e della diffusione di nuovi strumenti di lettura come gli ebook reader e l'iPad, il connubio cultura-tecnologia viene avvertito come più familiare». Basti pensare ai recenti esperimenti multimediali e interattivi di libri in forma di applicazioni, ovvero i software che consentono di unire il testo ad audio e video (un esempio: B. per i posteri, la versione per iPad e iPhone dell'ultimo saggio di Beppe Severgnini). D'accordo sulla crescita di popolarità della eLiterature l'artista italiana Caterina Davinio, pioniere nella poesia animata al computer già negli anni Novanta. Daniela Calisi, Filippo Rosso e Roberto Gilli, oltre a Lello Masucci, i nomi degli altri principali autori di casa nostra che hanno scommesso sul nuovo filone. «Perché la tecnologia è oggi il tessuto delle relazioni umane e lo diventerà sempre più - sostiene la Davinio -. Si pensi solo alla telefonia mobile e a Internet. Per quale ragione la letteratura dovrebbe rimanerne esclusa?».

Premio Short-Kipple: si aprono le urne!

Partecipazione numerosa per il Premio Short-Kipple, che ha visto partecipanti da tutta Italia.
La giuria (composta dal Premio urania Francesco Verso, Lukha Kremo Baroncinij e Sandro Zoon Battisti) ha già cominciato la lettura dei lavori e conta di terminare per fine gennaio e dichiarare il vincitore e i segnalati per i primi di febbraio, se non ci dovessero essere cause di forza maggiore.
La giurai ringrazia tutti i partecipanti e dà appuntamento al prossimo Premio Short-Kipple.
Infine ricorda che l'annuale Premio Kipple (per i romanzi) è giunto alla IV edizione ed è in scadenza il 30 maggio 2011 (il bando è in apposita scheda).

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