La componente sonora nell’ambito del postumanesimo è essenziale, come del resto in ogni disciplina o manifestazione culturale in cui sia presente il tempo.
È chiaro infatti che la musica (o, la sonorità in generale, da questo momento per musica intenderò la sua accezione più ampia) è strettamente legata al tempo e al periodo.
Nel postumanesimo queste due componenti sono evidentemente importanti in quanto si parla di superamento dei limiti umani (fisici, culturali e mentali), e quindi di trasformazione nel tempo.
Nel postumanesimo però non si parla di semplice evoluzione umana, il progresso culturale, sociale e politico che piaceva tanto al Romanticismo, le tappe da raggiungere e superare, quel processo, per intenderci, che vedeva il passaggio dalla barbarie della preistoria, alla tirannia dell’antichità, alle repubbliche e infine alla democrazia moderna, nonplusultra dell’intellighenzia umana.
Come si è visto nel XX secolo, questa visione era figlia del proprio tempo, messa in crisi degli ideali nati nella stessa epoca, come il socialismo o l’anarchismo. Senza considerare che probabilmente nella preistoria vigevano civiltà tribali assolutamente adatte all’ambiente e quindi probabilmente migliori (per l’epoca) di qualsiasi democrazia. E questo discorso si può estendere a quelle società contemporanee collocate in contesti diversi (il “medievalismo afghano”, il “tribalismo amazzonico o papuasiatico”, ecc.) che molto probabilmente non hanno bisogno di azzardate importazioni di democrazia.
Il postumanesimo è qualcosa di più di una semplice fiducia evoluzionistica romantica o di un banale ottimismo scientifico (tipico del positivismo), semmai si avvicina alle estreme conseguenze di questi movimenti, ovvero a un certo decadentismo o un neopositivismo visionario che arriva a negarsi, e a certe intuizioni futuriste. Nel postumanesimo l’attenzione è rivolta alla trasformazione (quindi non solo miglioramento, ma anche deterioramento, distruzione), a prescindere che questa voglia portare a un’evoluzione o a un’involuzione.
L’oltranzismo postumano non è soltanto evoluzione positiva, non ha valenze etiche o sociali, è la sperimentazione di qualcosa che rinnovi il concetto stesso di uomo, che estenda il pensiero oltre il cervello e il corpo stesso oltre quello naturale (basti pensare al teriomorfismo, l’ibridismo uomo/animale, che, secondo il pensiero neopositivista, rappresenterebbe un arretramento).
Il postumanesimo è spinto dalla necessità di mostrare l’obsolescenza del corpo e dei supporti del pensiero, l’ibridazione che, oltre che culturale e religiosa, invade il corpo stesso, la nostra carne per mezzo delle biotecnologie, dell’andro-macchinismo.
Senza addentrarci troppo nella definizione esatta, ci sembrava però giusto tracciarne un’idea da cercare prontamente in quelle musiche (e in quei “musicisti”) che si possano anche definire “postumane”.
Si potrebbe cominciare da Luigi Russolo, ingegnere futurista che teorizzò (negli anni ‘10 del XX secolo) l’Arte dei rumori, e costruì gli Intonarumori, strumenti acustici che producevano e amplificavano rumori di vario tipo. Egli divise i suoni dell’orchestra futurista in sei famiglie di rumori: 1) rombi, tuoni, boati e scoppi, 2) fischi, sibili e sbuffi, 3) bisbigli, borbottii, brusii e gorgoglii, 4) stridori, scricchiolii, fruscii e ronzii, 5) percussioni di ogni tipo, 6) voci di animali e uomini, arrivando a ipotizzare circa 30.000 rumori diversi.
Questo è importante perchè si comincia a considerare lo strumento musicale non solo come artefatto umano ma anche come automa sonoro (certo, gli intonarumori erano ancora azionati a mano, ma bastava girare una manovella). Il limite del futurismo era quello di contrapporre eccessivamente il “silenzio degli antichi” con il “rumore dei moderni”, e invece sappiamo tutti bene (e se ne rendevano conto anche loro) che la natura è, a volte, molto più rumorosa di qualsiasi macchinario umano (terremoti, uragani, tempeste, valanghe, cascate, eruzioni, ecc.)
In quegli stessi anni Edgar Varèse auspicava l’invenzione di nuovi strumenti che avrebbero permesso di “percepire i movimenti delle masse e dei piani sonori che, entrando in collisione, avrebbero dato la sensazione di fenomeni di penetrazione o repulsione. Non vi sarebbe più stato posto per la vecchia concezione di melodia: l’intera opera sarebbe divenuta una totalità melodica scorrente come un fiume. Vari accorgimenti tecnici avrebbero delimitato molteplici zone d’intensità diversificate dal timbro e dall’intensità che avrebbero acquistato colore, dimensione e prospettiva differente. Il ruolo del timbro-colore sarebbe diventato accidentale, aneddotico, sensuale o pittorico.”
Dice ancora Varèse (siamo nel 1916): “Sono certo che verrà il giorno in cui il compositore, una volta realizzata la partitura, potrà affidarla a una macchina che ne trasmetterà fedelmente il contenuto musicale all’ascoltatore”.
Concetto assolutamente postumano.
Le sperimentazioni si susseguirono nei decenni successivi, e vari compositori costruirono diversi strumenti elettronici, come il Theremin, l’organo Hammond, il Magnetofono, il Trautonium, il Melodium e l’Ondioline.
Nel 1951 la RTF impianta a Colonia il suo primo studio espressamente concepito per la composizione elettronica. In esso si formerà e ne prenderà poi la direzione Karlheinz Stockhausen, uno dei maggiori protagonisti della musica contemporanea. Durante questi anni saranno molti i compositori attratti che realizzano dei lavori nello studio, tra essi Varèse, Hodeir, Boulez e Milhaud.
Nel 1952 debutta nella musica per nastro John Cage, la cui propensione per strategie compositive aleatorie si pone in principio in diretta contrapposizione col rigore strutturalista di Stockhausen (Luigi Nono attacca la tendenza di molti compositori a trincerarsi dietro rigorosi e astratti principi matematico-scientifici). Il gruppo Music for Magnetic Tape di Cage e quello di Tape-Music di Ussachevsky-Lüning (che lavorava a New York) iniziarono indipendentemente a manipolare i suoni lavorando sui nastri.
Nel 1956 Louis e Bebe Barron firmano Electronic Tonalities, la prima soundtrack interamente elettronica, per il classico di fantascienza Il pianeta proibito, ideando le organiche forme sonore della civiltà dei Krell.
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