Nel 2008 Wu Ming (una sorta di Consorzio Scrittori Indipendenti) nel Memorandum 1993-2008 ha suggerito il “New Italian Epic”, un percorso critico letterario italiano che principiava dalle radici della caduta del comunismo reale, del muro di Berlino e della prima sciagurata Repubblica Italiana (che aveva raggiunto il suo apice nel 1977 con l’ancora oggi incredibile vicenda di Aldo Moro, sacrificato agli altari della Patria e della Chiesa). Dopo anni di gozzoviglie criticoletterarie, di nichilismo superficiale, di false condanne al Tatcherismo-Reaganismo-Paninarismo anni Ottanta, per la prima volta si respira aria a giusto contenuto di ossigeno. Gli anni Novanta sono stati il rinculo degli Ottanta. Cade l’Urss, il muro Oriente-Occidente, il bipolarismo mondiale: l’Ordine del pianeta è definitivamente allineato, la Storia è finita, l’Homo liberalis è il modello vincente!
Per niente, invece.
Le gozzoviglie sono proseguite tali e quali, solo in nome di qualcos’altro. Anche Philopat è concorde nel ritenere i Novanta, “un po’ meno peggio degli Ottanta”. E la cosa che fa dei Novanta “meglio” dei suoi predecessori è l’assenza di un integralismo occidentale capitalistico che faccia da caposaldo contro l’innominabile che c’era “di là”. Morto il nemico (meglio, ridotto agli “Stati canaglia”), l’entusiasmo è fine a se stesso, quindi meno intenso, meno ridicolo, meno “peggio”.
Ma, in pratica, siamo di fronte a una crisi mascherata da trionfo. Gli anni Novanta sono gli anni in cui, tolta la maschera rossa dal volto del nemico, si è scoperto che il nemico era dentro di noi.
Il sogno (per chi l’ha fatto) è durato poco. Il crollo della New Economy e il Movimento di Seattle sono stati fenomeni troppo sottovalutati e nel luglio 2001 a Genova tutti hanno capito perché. A settembre 2001, l’attentato alle Twin Towers ha conclamato definitivamente che il nuovo ordine mondiale non era così equilibrato come si pensava, anzi. Con la crisi economica del 2008 si è di fronte alla conferma di tutto ciò: ora siamo consapevoli che il modello vincente, quello capitalistico, è per sua natura instabile.
(segue nel prossimo post, domani)
Ho visto Capitalism di Michael Moore. Incredibile che anche negli Stati Uniti stia nascendo una consapevolezza nuova: non bisogna più essere comunisti per dire che il capitalismo è il male. Buona domenica.
RispondiEliminala sfida che stiamo costruendo (la nostra generazione, intendo) è epocale: bisogna solo non aver paura del salto nel vuoto (tanto, per il momento è sempre valida l'asserzione che non ne usciremo vivi)
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