Su AnnessieConnessi.net è presente l'ennesima recensione a La pesatura dell'anima, il romanzo di Clelia Farris che ha vinto il Premio Kipple nel 2010 e che è diventato un long sellers. Il libro è reperibile cliccando qui, mentre l'eBook senza DRM è qui.
In un antico
Egitto alternativo, dove l’ingegneria genetica ha permesso di ottenere
strumenti di alta tecnologia da animali e piante, un gruppo di sette guardie
elette comunicano con i Morti, somministrando la giustizia più vera e assoluta:
lo scambio dell’anima colpevole per quella innocente della vittima.
Ma, all’interno
di questo sistema apparentemente infallibile, un caso insoluto svela una
debolezza che trascende ogni immaginazione e mina l’intero equilibrio politico
e culturale della società.
Questa, in
estrema sintesi, la trama del romanzo di Clelia Farris, La
pesatura dell’anima. Un romanzo di fantascienza ucronica estrema, che
si spinge molto oltre il mainstream letterario al quale la letteratura
commerciale ci ha abituato negli ultimi anni.
Un’opera
quantitativamente breve (183 pagine) ma densa ed intensa. La Farris non solo ci
offre un intreccio degno del miglior poliziesco, ma lo inserisce all’interno di
una realtà fantascientifica così elaborata ed originale da lasciare senza
fiato.
Lo stile è
impeccabile e denota l’esperienza con la lingua scritta e con il genere.
L’autore infatti non cede mai nella tentazione dell’infodump, anche a costo di
lasciare il lettore nell’incertezza per parecchie pagine. Le occasioni infatti
sarebbero numerose, perché viene imbastito un mondo intero del tutto lontano a
ciò a cui siamo abituati, e non abbiamo nessuna nota o spiegazione a nostro
beneficio. Nonostante questo, o forse anche grazie a questo, l’interesse non
scende mai, e alla fine, con pazienza, tutti i fili vengono tirati nella giusta
direzione.
La voce narrante
è una distaccatissima terza persona, con punto di vista variabile, che
corrisponde per la maggior parte con il punto di vista della protagonista,
Naima, ma che spesso coinvolge gli altri cinque personaggi principali. Il tono
è quasi chirurgico, completamente impersonale, al punto che la sensazione
finale ben presto assomiglia ad una cronaca di fatti. Questo espediente
permette ai personaggi di risaltare sopra ogni altra cosa.
I personaggi,
infatti, sono probabilmente la punta di diamante di questo romanzo. Si
inseriscono nell’intreccio con naturalezza e credibilità e, sebbene vengano
descritti fisicamente solo all’inizio, restano vivi e ben distinti l’uno dagli
altri, ciascuno con le sue proprie caratteristiche, mai scontate o banali e
sempre vivide e coerenti tra loro.
Il romanzo si
fonda su un intreccio talmente elaborato che è impossibile non evincere lo
studio che deve essere costato per realizzarlo: inventare un mondo del tutto
straordinario, con una sua geografia, una sua struttura politica, le sue
proprie religioni, credenze, usanze e dialetti, presuppone uno sforzo creativo
non da poco, difficile da riscontrare anche in altri esponenti del genere.
Un libro ottimo,
che ci sentiamo di consigliare a tutti coloro che cercano, senza trovarlo se
non di rado, il Sense of Wonder che caratterizza la letteratura
fantascientifica, e a tutti coloro che sono dei lettori dalla mente aperta,
disponibili a farsi stupire in modi sempre più imprevisti dalla parola scritta.
* * *
...e ancora, su LePagine.net:
Un’ambientazione tutta egiziana,
per rivivere quel mondo arcano dei faraoni e risvegliare miti e
leggende ma in un contesto storico e poliziesco. Sono presenti
passato e futuro in una sorta di fantascienza, attraverso una
rivoluzione che genera colpi di scena insoliti. E poi vita e morte,
tanto da trasformarlo in un thriller anche angoscioso.
Clelia Farris mette in scena
l’improvvisa resurrezione di un corpo nel momento stesso in cui ne viene
ucciso un altro, miscela realtà storiche e soprannaturali per celare un
mistero intricato dove sembra difficile rintracciarne l’essenza.
E con questo tiene incollati i suoi fruitori fino alla fine. L’Egitto
viene descritto in maniera volutamente enigmatica, con l’idea di voler
indurre il lettore a guardare oltre le righe ed esercitare le capacità
intellettive. Questo esemplare esercizio di stile l’avrà certamente
aiutata a vincere il Premio Klippe 2010.
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