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Wu Ming e il New italian Epic - Frame 3: Postmodernismo tamarro!

Come fa giustamente notare Wu Ming 1, non si può dare il nome di "post-qualcosa" a un fenomeno che va avanti da anni. I postumi di qualcosa (una sbronza, una guerra, un movimento letterario) durano il tempo di una reazione, di un rinculo. Non siamo più nel Secondo dopoguerra come non si può più parlare di postmodernismo.
La crisi mascherata da trionfo degli anni Novanta (festa della morte del nemico, prima di scoprire che ce n’era un altro all’interno della nostra società) è il periodo in cui il postmodernismo si riduce a maniera, il manierismo ha in nuce la decadenza.
Il postmodernismo che si vantava di essere fuori dalle regole, sopra le parti, oltre l’immaginazione è riconducibile ad alcune regolette, ed eccole: fusione di cultura alta e popular culture, citazioni-saccheggio dal passato, derive metalinguistiche. Ma soprattutto disillusione-disincanto (da qui l’obbligo di non essere seri). Si è imboccato la via delle ricombinazioni ironiche, dell’irrisione del linguaggio, del metadiscorso (irrisione verso l’irrisione, ironia dell’ironia, parodia della parodia).
Insomma un neo-barocchismo di maniera, in una parola: tamarro!
Con lodevoli eccezioni (DeLillo, Pynchon e Doctorow, nientemeno, e comunque non in Italia), la narrativa postmoderna e d’avanguardia si era ridotta a questo.
Cosa c’è stato di veramente di nuovo dagli anni Novanta a oggi?
Wu Ming intravede qualcosa due anni fa, nel Memorandum 1993-2008, un nuovo approccio alla letteratura e all’arte, peculiare soprattutto dell’Italia. Non sono gli unici, infatti anche il gruppo di Scrittura Industriale Collettiva indica qualcosa di molto simile.
I caratteri di quello che fu il postmodernismo sono finalmente digerite, e il senso si sposta dal “come” verso il “cosa”. Dalla sperimentazione fine a se stessa a quella al servizio della trama. Non si è più in presenza di una “fusione di cultura alta e pop”, ma si maneggiano le nuove “creature” e si fanno crescere e vivere di vita propria (le graphic novel non sono più affascinanti ibridi da carrozzone, ma opere che si prendono sul serio), le citazioni non hanno quell’insopportabile carattere parodistico, ma sono nodi, vincoli di percorsi di lettura alternativi, che raccolgono nuovi gruppi di lettori (cito Eco: “Come direbbe Liala, ti amo disperatamente”, parodia postmodermista, mentre è più serio e sincero dire: “Nonostante Liala, ti amo disperatamente”, in questo modo allontano dall’opera il gruppo di lettori di Liala).
Le deviazioni del linguaggio e della trama non sono più fini a se stesse (William Burroughs fa parte del suo tempo, oggi è impensabile scrivere un Pasto Nudo senza cadere nell’esercizio manieristico, cioè una cosa che quell’opera non era.)
Gli elementi del postmodernismo sono “digeriti”, utilizzati sottilmente. Quello su cui invece si deve lavorare è la storia, il nocciolo stesso della letteratura.
Wu Ming propone il percorso del New Italian Epic, che ha caratteri epici e realisti. La sintesi fiction/non fiction si realizza nel superamento della contrapposizione tra realismo ed epica (non a caso il gruppo di Scrittura Indistriale Collettiva lo chiama “Realismo liquido”).
Una sintesi che non sappia di artefatto: non siamo più in presenza di blande “contaminazioni” ma, come assistiamo in televisione e dovunque, fusione tra reale e immaginario, tra documentario e fiction. In questo Gomorra di Saviano è un esempio perfetto. Innegabile la verità dei suoi racconti, si notano delle variazioni dell’io narrante, che da prima persona diventa protagonista di un racconto che l’autore ha sentito raccontare, ciò dà un senso epico alla cruda cronaca. Gomorra è, senza ombra di dubbio, perturbante.
Questa epica non ha un senso solo classico, ma è realizzata con un lavoro sui toni, sui sensi figurati, sui riverberi dei significati dei termini, sul desiderio di spazio, di sopresa, di avventura. Quindi sull’allegoria e sulla perturbanza. Epica e deviazione, desiderio di infinito e alterità da se stessi.
In questo senso i già citati (nel post precedente) romanzi dei Connettivisti, la silloge di poesie di Concetti Spaziali, Oltre (Kipple, 2010), e la raccolta di poesie in Le commedie del buio di Paolo Ferrante sono New Italian Epic in pieno. E questo per non parlare del molto inedito che c’è  ancora da pubblicare (viste le difficili condizioni editoriali in Italia e nel mondo).
Infine, esempio perfetto epicità perturbata (ma credibile, non più solo postmoderna) è la proposta di Wu Ming 2 di non lasciare alla sua tragicissima morte Euridice. Orfeo, figlio cantore della musa della poesia epica Calliope, era andato a riprendersi la sua amata Euridice negli Inferi. Ade gli aveva concesso il ritorno della donna solo se lui non si fosse mai voltato a guardarla. Lui resiste per tutto il tempo ma, proprio all’uscita dell’inferno, tra buio e luce, si volta e lei muore. Wu Ming propone che Orfeo fosse cieco, come del resto lo erano molti cantori. In tal modo lui si volta, ma non la può vedere comunque e lei si salva.

1 commento:

  1. Sono perfettamente d'accordo con te, Rodolfo, io lo chiamo "principio cristico" per distinguenlo dall'infinita decadenza (e oscurantismo) del Cristianesimo storico.
    Grazie dell'intervento.

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